Cultura, please.

DI Chiara Maci | 10 Giu 2011

 

14 gennaio 2009 

Oggi ho sentito il bisogno di fare una passeggiata, dopo il lavoro. Sono uscita prima del solito e ho preso la metropolitana. Fermata Duomo. Ho camminato e ho annusato. E ho guardato la gente e ho pensato che dovrei prendermi tutti i giorni la libertà di fare un giro, cosi, solo per il gusto di andare. Da nessuna parte.

Mi sono fermata da Feltrinelli e li sono stata diverso tempo. Non saprei dire quanto. I libri mi confondono.

E’ una strana storia quella mia con la lettura. Chi la conosce sorride e mi prende in giro.

Non leggo romanzi, non ne ho mai letti per principio. E’ un principio un po strano, mi rendo conto, ma non amo le storie inventate. So che sono finte e non riescono ad appassionarmi. E’ più forte di me. Sarà per questo che non ho fantasia. Non saprei inventare una favola per mio nipote. Gli racconterei la mia vita. Non so fare altro. Sarà per questo che scrivo di me. Perchè vorrei inventare, ma non ne sono capace.

Ho letto ogni biografia, ogni storia vera, ogni intervista capitata sotto i miei occhi, ma quell’angolo li, quello appena entri in una libreria, quello dei libri più letti della settimana, proprio non mi convince.

Istintivamente le mie mani prendono tutto ciò che è denuncia, critica, malessere, racconto di vita vera.

Amo il modo di scrivere dei giornalisti. Non avendo potuto scrivere sui giornali, li ho sempre letti. E ci sono quei pochi che ho eletto a miei preferiti e che non hanno davvero più segreti per me. Oriana, ad esempio. Le ho anche scritto una lettera prima che morisse. Ho pianto quel giorno perchè avrei dovuto conoscerla. Me lo aveva promesso, che l’avrei conosciuta. Ho letto ogni suo articolo, ogni libro, ogni cartolina, ogni strappo di diario reso pubblico, ogni testo a lei dedicato. E cosi Vittorio, cosi Magdi, così Beppe.

Vittorio Zucconi mi ha sempre fatto sorridere. Il più americano dei giornalisti italiani. Lui e i suoi racconti sull’America e sulle stranezze incontrate nei suoi mille viaggi.

“L’aquila e il pollo fritto – Perchè amiamo e odiamo l’america” è il suo ultimo libro ed è il mio acquisto di questo strano pomeriggio a passeggio.

E’ la confessione spietata e affettuosa di un italiano divenuto americano senza accorgersene. E senza rimpianti.

Vi lascio una frase a caso e corro a divorare queste 300 pagine. Vere.

 

“Perché nasca una prateria, bastano un trifoglio, un’ape e un sogno. E se non ci sono le api e il trifoglio, può bastare anche il sogno.”

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