Do you feel the ocean? Tahiti, il paradiso lontano.

DI Chiara Maci | 22 Mag 2014

Quando ero piccola, sognavo di viaggiare per lavoro.
E poi l’agenzia, l’azienda, mai un aereo e mai un viaggio destinato a noi stagisti o dipendenti da poco (tempo). Viaggiare è visto come un premio, quando sei all’inizio.

Poi le cose cambiano e nel giro di pochi mesi cominci a non stare mai ferma.
Da Milano in giro per il mondo, sempre. Un bagaglio da fare e disfare in continuazione, una vita da nomade e la soddisfazione di sentirsi ricchi, al ritorno a casa.

Mi hanno cresciuto così i miei genitori e crescerò così Bianca. Con l’idea del viaggio come premio, come scoperta, alle volte fuga, alle volte ritorno.

-Negli ultimi tre anni ho fatto tanti viaggi, ma solo tre davvero importanti.
Il primo in Thailandia, il secondo in Israele e il terzo qui, in Polinesia francese.
Sono stati tre viaggi significativi perché capitati in tre momenti molto difficili della mia vita.
Il viaggio non capita mai a caso. Ne sono certa.
Dico di no a decine di voli ogni anno, perché per viaggiare bisogna sapere quando partire.
Mai come in questo caso conta la qualità e non la quantità-

Sono partita per Pukhet nell’unico momento della mia vita in cui ero terrorizzata dall’idea di stare tante ore su un aereo, sola. Erano giorni molto difficili, mi ero appena ritrasferita a vivere a Milano e sapevo che quel viaggio avrebbe cambiato la mia vita di allora.

Sono partita per Israele dopo aver scoperto, qualche giorno prima, di essere incinta.
Sono partita da sola e quegli otto giorni hanno significato tantissimo per me e per la mia scelta futura. Il muro del pianto, il cammino della via crucis, il rabbino che mi accompagnava ovunque e che era uno dei pochi che sapeva.
Sapevo che sarei tornata diversa.

Sono partita una settimana fa per Tahiti e mi tremavano le gambe, mentre salivo sul Malpensa Express direzione aereoporto. Fino all’ultimo non sapevo se prenderlo o no, quel volo.
Perché da quando c’è Bianca, nella mia vita, è tutto diverso.
Ha quasi quattro mesi, stenta ancora a riconoscermi e io vado via per 9 giorni.
Il viaggio più lungo della mia vita, pensavo.
E un po’ avevo ragione.
Tantissime ore di volo, lo scalo a Parigi, poi Los Angeles e infine Papeete.

Per arrivare in Paradiso bisogna faticare” dice qualcuno.
Già.

Il primo giorno serve per riprendersi. Non pretendete troppo da voi stessi.
Poi, dal secondo giorno, bisogna lasciarsi andare alla magia dell’isola.

Dimenticate i cellulari, se potete (quello che non ho fatto io, cercando disperatamente wifi anche in mare aperto). E lasciatevi trasportare dalla musica di Bobby, l’hippy più famoso di Huahine.

Ascoltate qui e guardate queste foto. Le ho scattate con l’iphone, in giro. Nessun filtro particolare. Solo un paesaggio unico.

La Polinesia francese ha qualcosa di magico. E non sono solo le spiagge, non sono solo le corone di fiori o la sabbia bianca e il mare cristallino.

Certo, tutto quello è il paradiso e lo lascio raccontare alle mie colleghe travel che viaggiavano con me, ma la mia Polinesia è stato altro.
Mi sono avvicinata a queste isole con l’irrequietezza di chi ha una vita stressata, a casa.
E ho capito da subito che potevo lasciarla a casa, quella frenesia.

Mi sono avvicinata a queste isola con la voglia di tornare a casa, ma con la consapevolezza di essere partita. E quindi di essere pronta a lasciarmi andare.

Sono stata chiamata qui a scoprire quella che è la cultura culinaria di un paradiso terreste, ma quello che mi rimane, in questi giorni qui, non è il cibo. Sono le facce della gente che ci vive, qui. E che sorride e prova a farti capire la propria vita.

Il sorriso di Paulina che, mentre ci accoglie nella pensione Fare Maeva a Huahine, mi fa i complimenti per il tatuaggio. E io le racconto di averlo fatto in Thailandia ma le dico che voglio tatuarmi anche li, a Tahiti, dai due fratelli del mercato. E a lei viene la pelle d’oca, mi guarda e mi dice “guarda, ho i brividi. Io li conosco e loro sono bravissimi. Devi prenderti tempo per te, ascoltare il tuo cuore, pensare a cosa vorresti davvero comunicare con quel segno sul tuo corpo e farti dipingere con l’inchiostro da quel tatuatore che hai scelto. Qui in Polinesia i tatuaggi sono storie da raccontare. Quale è la tua?”.

Gli occhi della signora che mi insegna a muovere il bacino per imparare la danza tahitiana, con al collo corone di fiori appena create e in testa cappelli di foglie di palma, e intanto ride di gusto della mia assenza di punto vita.

 

La fretta del cuoco delle Roulotte, in centro a Tahiti, dove la gente è talmente tanta da dover ordinare mezz’ore prima per essere serviti in tempo. E sua moglie che prende le ordinazioni e ride di noi cinque italiane mezze addormentate che non sappiamo decidere cosa mangiare perché sembra tutto ottimo. E lo è. Dal sashimi di tonno al tonno in ogni salsa, dal mahi mahi alla griglia con salsa di vaniglia, alla tartare con lime e latte di cocco. 





 


La gentilezza del coltivatore di vaniglia, danese ma ormai polinesiano di adozione e la sua meravigliosa piantagione. Quelle stecche cosi ciccione e piene di semini, quel profumo inebriante e coinvolgente, quel cocco appena tagliato e quel succo di mango ad accoglierci.La dolcezza della manager mentre ci accompagna a visitare il lussuoso Taha’a Resort, su un motu (isolotto) appartenente a Taha’a, e ci mostra gli over-water da brivido, le camere di 200mq, la spa e gli olii monoi e il miracoloso olio di tamanu (ve lo consiglio anche per i tatuaggi). Il direttore del resort e la colazione con lui, all’alba, per raccontarci le curiosità dell’isola e per sentirci dire che la famosa Bora Bora è anche chiamata ironicamente “Boring Boring” … chissà perché!

Armando, la nostra guida sull’isola di Huahine, e le sue urla in spiaggia per richiamare la nostra attenzione all’ora di pranzo. Il suo mix di tonno crudo con lime, latte di cocco, sale, carote, cipolle e cetriolo. Questo è il piatto tipico tahitiano. Il raw tuna with coconut milk.

Facilissimo da preparare e meravigliosamente profumato.

I fratelli Salmon, detti da me “i fratelli Salmone” che non ho mai avuto il piacere di conoscere ma che mi hanno gentilmente indirizzato dal mio nuovo tatuatore. Ebbene si, ne ho fatto un altro. Potevo, nel luogo dove il tatuaggio è storia, culto, tradizione, non farmi tatuare qualcosa di unico e di solamente mio?

Dimenticatevi il tatuaggio copiato. Qui ogni tatuaggio è una storia da raccontare, fatta di simboli, di parole, di immagini e di segni. Sono grandi, i loro tatuaggi, perché all’interno ci sono le loro vite.
Non ho avuto il coraggio di osare tale grandezza, ma ho disegnato il mio e lui l’ha reso polinesiano.


Are u ready?

Yes, i’m ready.
Tahitian style?
Yes.
Ok, let’s do it!







La nostra guida Ludovic di Tahiti Tourisme, da me soprannominato Sebastian e le risate fatte insieme durante le cene nel deserto resort Royal Huahine.

Gli occhi di Gustavo, insegnante di diving argentino, e il nostro arrivo a Rangiroa nel Kia Ora Resort, dove per un attimo capisci che avere un compagno sarebbe un ottimo motivo per tornare li, insieme. Le camere più belle, il paradiso di una vegetazione mai vista prima d’ora e il primo wifi funzionante dell’intera settimana!(sono cose importanti quando cerchi disperatamente di comunicare con l’Italia)

L’escursione sul motu più suggestivo, dove, tra coralli, acque cristalline e piccoli squali attorno a noi, Ugo mi guarda e mi dice: Do you see the ocean? Davanti ad uno spettacolo incredibile da descrivere. Le onde forti, il rumore inconfondibile, la paura di cadere e quel brivido che solo il mare ti può dare.


Il pane di cocco, specialità locale, preparata con cocco grattugiato, farina, lievito, sale e acqua di cocco. Impastati insieme, poi divisi in mucchietti e cotti ognuno tra due foglie, sulla griglia. Quel gusto un po’ brucciacchiato, ma all’interno morbido e dolce, come il cocco.

Il villaggio di Tiputa, le bellezze locali e l’orgoglio della gente nel mostrare la propria terra.

Le Relais de Josephine e quella suggestione di essere nel punto dove si incontrano mare ed oceano, i delfini che nuotano e giocano tra le onde, la quiche con le verdure e il chutney di mango preparato insieme, con aglio, cipolla, pimento, mango fresco, aceto, senape e zucchero di canna.

I 12 aerei presi in 9 giorni, il jet lag, la mancanza di mia figlia, le coppie in viaggio di nozze, il cellulare spento per intere giornate, gli occhi della gente, gli acquari naturali in mezzo al mare, il paesaggio in assoluto più bello mai visto prima d’ora, la noce di cocco aperta in tre colpetti, il segno indelebile che mi ricorderà per sempre di essere stata qui.
E quando qualcuno ti guarderà, ovunque tu sarai, e vedrà il tuo tatuaggio polinesiano, dirà : “sei stata in Polinesia!”, ti sorriderà e ti chiederà il significato. Perchè qui tutto ha una storia. Da raccontare guardando l’ocenano.
Do you fell the ocean?
Condividi questo articolo