Il fattore umano nella ristorazione del mondo.

DI Chiara Maci | 9 Mar 2018

 

Identità Golose (3-4-5 marzo)

Milano

 

“Nel mio team vedo la mia famiglia: condividiamo obiettivi e sogni, sbagliamo insieme e vinciamo insieme.”

Così Massimo Bottura, proprietario dell’Osteria Francescana a Modena, ha concluso il suo intervento ad Identità Golose (Milano).

Congresso che celebra la cucina d’autore e che quest’anno è arrivato alla quattordicesima edizione ospitando sul suo palco chef, pasticceri, maître di sala ed i protagonisti dell’alta cucina di tutto il mondo.

“Il Fattore Umano” è stato il tema portante.

Fattore Umano concepito come attenzione alle relazioni con produttori e clienti, come rispetto nei confronti del personale di sala e di cucina, o ancora come valorizzazione del territorio e comunicazione delle sue tradizioni.

Ogni chef interpreta e trasmette a suo modo il valore dei rapporti umani.

Massimo Bottura ha voluto portare sul palco piatti ideati e creati dai suoi dipendenti che, provenendo da diverse parti del mondo, portano con sé insegnamenti differenti.

“Ho sempre cercato di essere un allenatore di idee, insegnando la disciplina, ma lasciando spazio alla creatività e spingendo sull’identità e sulla condivisione. Io metto la tecnica, loro mettono il carattere ed insieme stimoliamo memoria ed emozioni dei commensali.”

 

Massimo Bottura, Osteria Francescana – Modena

 

“Ero stressata, demotivata, non trovavo più stimoli nel lavoro da chef ed il mio malumore si rifletteva anche sulla mia brigata, quando un giorno arrivò Netflix.”

Inizia così il discorso di Ana Ros, proprietaria dell’ “Hisa Franko” di Caporetto in Slovenia, premiata miglior chef donna del 2017 dalla guida “50 Best Restaurants”.

Con la proposta da parte di Netflix di partecipare al documentario “Chef’s Table” si è chiesta “Cosa voglio comunicare allo spettatore?”

E così ha ritrovato la sua forza nel team.

Da quel giorno tutta la brigata di prima mattina pratica yoga o jogging, per poi iniziare a cucinare alle 11 nella cascina-ristorante dove Ana vive con suo marito e due figli.

Un ruscello immerso nel verde, vasche con le trote, orto, cantina adibita alla produzione di formaggio.

“Hisa Franko” è un ristorante che racconta la storia ed il territorio della Valle d’Isonzo, cucinando materie prime coltivate personalmente o minuziosamente controllate e materiali di scarto come frittelle di torsoli di mela, mantecature nel siero del latte.

“Per quanto riguarda la carne invece, mi rifornisco da un allevatore che conosce le sue mucche per nome – conclude la chef – vado oltre la tracciabilità per includere ogni mio fornitore in un progetto globale.”

 

Ana Ros, Hisa Franko – Caporetto

 

Ci spostiamo poi in Thailandia, Bangkok, per conoscere lo stravagante Gaggan Anand, proprietario dell’omonimo ristorante. Qui troviamo il primo menu stellato da mangiare con le mani… o da “leccare”.

Il piatto si chiama “Lick it up” e nasce per mettere sullo stesso piano ogni cliente, dall’imprenditore al turista “back pack”, invitandolo ad un gesto poco elegante ma al contempo innato nell’umano.

Le emoji sono protagoniste del menu del “Gaggan” che vuole così essere compreso da chiunque, unire il mondo in un ristorante che mette tutti gli umani sullo stesso piano, puntando sulla forza dell’uguaglianza e presentando piatti della tradizione indiana (paese nativo dello chef) con tecniche internazionali.

Il “Gaggan” chiuderà nel 2020, per aprire poi l’anno successivo con un nuovo ristorante in Giappone.

Solo 10-12 posti a sedere, così da canalizzare l’attenzione sul cliente ed avere la massima resa dai suoi dipendenti.

 

 

Gaggan Anand, Gaggan – Bangkok

 

Per finire Virgilio Martinez spiega cos’è la “Nuova Cucina Amazzonica”, simbolo del Fattore umano per eccellenza.

Parliamo di una cucina che racconta la biodiversità del Perù.

Tutto parte dal centro di ricerca permanente di Cuzco: “Mater Iniciativa”.

Qui un gruppo di esploratori si occupa della scoperta di nuovi prodotti, di ingredienti millenari, sconosciuti, di specie in via d’estinzione, ecc…

Il loro ultimo progetto? Recuperare le 200 varietà di patate presenti in Perù e proporle poi tutte all’interno di un piatto.

Il “Central” di Lima è quindi l’ultimo step di un lavoro costante.

“L’atto di cucinare per me inizia dalla coltivazione della pianta del cacao, dalla raccolta di radici o foglie di coca, dalla pesca di batteri marini o lumache di lago – afferma Virgilio – Nel mio ristorante propongo un menù verticale: declinato secondo la distanza dal livello del mare. Tutti i piatti sono assemblati in modo da avere ingredienti che si coltivano o si trovano nella stessa zona e altitudine, così il cliente scopre pian piano la biodiversità di tutto il Perù. Siamo l’esasperazione della cucina locale, – conclude – da noi anche bevande sono distillati di erbe homemade.”

Il Fattore umano del “Central” quindi si focalizza sulla responsabilità nei confronti dell’ambiente, senza tralasciare le relazioni umane.

 

Virgilio Martinez, Central – Lima

 

 

 

Dopo questi tre giorni torno a casa con la voglia di partire per un viaggio alla scoperta delle diverse cucine del mondo, delle regioni native degli chef e delle loro storie.

La cucina dell’Osteria Francescana che si snoda fra tradizioni del passato, presente e futuro, la biodiversità del Perù che Virgilio Martinez ricrea nei suoi piatti, le campagne illibate della Slovenia, lo street food asiatico declinato nella cucina stellata del “Gaggan”.

 

Di Giulia Gattiglia

Credits
Photo By Giulia Gattiglia
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