Quando ero piccola, io e i miei fratelli passavamo giornate intere in viaggio, perchè i miei genitori ci portavano spesso da Agropoli a Bologna e poi sempre in giro per l’Italia.
Viaggiare apre la mente. Lo ha sempre detto mio padre. Anche quando in viaggio ci interrogava chiedendoci le province italiane. Perchè la geografia è importante.
E ogni volta, ad ogni viaggio, mi succedeva una cosa.
Mi incantavo a guardare le luci accese delle case, dei palazzi.
Quelli lungo le tangenziali, lungo le autostrade.
Iniziavo a pensare a cosa stesse succedendo lì dentro, in quell’appartamento dalle misure indefinite.
Era sempre caldo, in quelle case. E poi c’era profumo di torta. Abbracci e corse di bambini piccoli. Una tv accesa e un albero di Natale da montare e smontare tutti insieme. Regali e vasi di vetro. Un divano morbidissimo tutto colorato e una porta marrone che si apriva sempre all’ultimo, quando lui rientrava da una giornata di lavoro e lei era alle prese con il pigiama del bambino.
E se rientrava tardi lei, dopo una lunga giornata in ufficio, lui era davanti al pc e la accoglieva con un bacio.
C’era sempre uno che aspettava l’altro.
E che, la sera, davanti ad un piatto di pasta, raccontava la propria giornata. E c’era sempre qualcuno che si lamentava di qualcosa. Ma c’era sempre un abbraccio, poi. E c’era il momento del pianto del bambino e quello del ritorno a casa del figlio più grande. Era sempre tiepida, la casa che immaginavo. E l’odore che si respirava era vapore dell’acqua della pasta misto ad amore.
Pochi giorni fa, tornando dal Piemonte dove ero stata per lavoro, mi sono assentata con la mente per qualche minuto. E all’altezza della tangenziale, ho iniziato a guardare ogni palazzo, ogni appartamento, ogni lucina accesa, di sera.
E ho visto tante storie. Tutte diverse.
E ho visto tante persone che si aspettavano, fino a tardi. E tanti sorrisi.
E ho chiuso gli occhi, ho sorriso e ho pensato che avrei dovuto scrivere subito questa sensazione.
E l’ho fatto.
Aspettarsi, sorridere. Insieme.
Buona Pasqua, gente.