Mi capita un libro tra le mani. Un libro comprato anni fa, un pò per curiosità, un pò per passione. Parla di pubblicità, di comunicazione. Ma si potrebbe benissimo applicare a tutti i lavori.
“Parla di malattia per definire l’essenza del mio mestiere. Io ribatto che un pubblicitario non si vaccina contro il bacillo della comunicazione. Anzi, lo coltiva, lo alleva, lo alimenta.”
Silvio Dolci viene definito un creativo puro. Uno che preferisce il termine ” jouer” al nostro “lavorare”.
Un uomo con una visione agonistica del lavoro. Il primo ad avere la straordinaria ambizione di aprire un’agenzia tutta italiana a Parigi. Uno che sussurrava il suo nome come chi degusta il primo sorso di un vino millesimato. Uno che a volte si ricorda più il particolare che il generale. Tutti sanno che il 14 luglio è il giorno della presa della Bastiglia. Pochi sanno che l’anno è il 1789. Un pubblicitario talmente convinto che Dante è più un olio che un poeta, uno che ha l’impressione che i suoi collaboratori possano essere meno recalcitranti nel fare straordinari se lui lavora più di loro. Silvio Dolci è uno che ai sogni non ci rinuncia, uno che faccio il pubblicitario perchè altrimenti non esisterei. Uno che vuole fare il megalomane, che quando sale sull’aereo vuole fare il pilota, uno per cui la felicità è incontrare qualcuno che ha voglia di incontrarci. Uno che crede più alla coscienza che ai codici, uno che l’abitudine, l’esercizio, nel sesso, nello sport, nella vita, nell’uso della memoria, nel lavoro ne determinano il ritmo.
Se non fai il numero di telefono per un po di tempo, lo dimentichi. Se lo fai sempre, è automatico. Uno per cui l’eleganza quando si acquisisce diventa naturale e spontanea e la laurea quando si consegue non ce ne frega più niente, uno che solo i pesci morti seguono la corrente.
Uno per cui, soprattutto, i piedi non servono a tenere in forma le scarpe.
Ambizione. Sogni. Abitudine. “Perché altrimenti non esisterei”.
Riflettete. Alle volte insegna più un libro di una persona. E questo fa pensare.