era l’animale da carne per eccellenza, personaggio di primo piano della società altomedievale, come il porcaro che lo conduceva. Se quest’ultimo godeva di una speciale stima professionale (l’Editto di Rotari assegna al magister porcarius il prezzo più alto tra i servi addetti ad attività produttive), il maiale costituiva la principale unità di riferimento della produzione silvo-pastorale, tanto da fungere da vera e propria unità di misura dei boschi, valutati in base al numero dei capi che vi si potevano allevare: silva ad saginandum porcos… Nel Centro-Sud invece l’allevamento ovino tendeva ad acquistare un’importanza via via maggiore e a diventare infine prevalente, sia per motivi di ambiente e clima (maggiore presenza di prati naturali, rispetto ai boschi che costituivano l’aspetto dominante del paesaggio settentrionale), sia per fatti di ordine culturale, ove si pensi alla persistenza, più forte nel Centro-Sud che al Nord, di modelli economici e mentali ereditati dalla tradizione romana, che, dal punto di vista zootecnico, significava – in accordo con le più schiette vocazioni produttive dell’area mediterranea – una predilezione particolare per l’allevamento ovino. (Massimo Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo. Gorgonzola (MI), 2010)“PER ACONCIARE BENE UNA PORCHETTA (tratta dal Liber de Arte Coquinaria di Maestro Martino)*
Fa’ in prima che sia ben pelata in modo che sia bianca et netta. Et poi fendila per lo deritto da schiena et caccia fore le interiori et lavala molto bene. Et dapoi togli i figatelli de la ditta porchetta et battili bene col coltello insieme con bone herbe, et togli aglio tagliato menuto, et un poco di bon lardo, et un pocho di caso grattuggiato, et qualche ovo, et pepero pesto, et un pocho di zafrano, et mescola tutte queste cose et mettele in la ditta porchetta, reversandola à modo che si fanno le tenche, cioè ponendo quello di dentro di fori. Et dapoi cusila insieme et legala bene et ponila accocere nel spedo, o vero su la graticula. Ma falla cocere adascio che sia ben cotta così la carne como etiamdio il pieno. Et fa una pocha di salamora con aceto, pepero et zafrano, et tolli doi o tre ramicelle de lavoro, o rosmarino; et gitta spesse volte di tal salamora sulla porchetta; et simile si po fare de oche, anatre, gruve, capponi, pollastri, et altri simili.”
Questa è la ricetta originale, ma procediamo con una versione più casalinga!
Ingredienti
2 kg di arista di maiale
150 g circa di parmigiano grattugiato
uno spicchio d’aglio
100 g di erbe aromatiche (io ho utilizzato prezzemolo, erba cipollina, origano, timo, rosmarino, salvia)
3 uova circa
½ litro di aceto di vino rosso
1 rametto di alloro fresco
1 rametto di rosmarino fresco
Sale
Pepe
Tagliate il pezzo di arista a spirale (o se preferite chiedere al vostro macellaio di farlo per voi!) in modo da avere una sfoglia su cio cospargerete il ripieno.
Tritate le erbe ben lavate e l’aglio; in una ciotola mischiate tutti gli altri ingredienti e il trito di erbe e aglio. Condite con sale e pepe.
Il composto si presenterà morbido ma non liquido. Se lo fosse aggiungete un paio di cucchiai di formaggio grattugiato. Spalmatelo sulla ‘sfoglia’ di carne; arrotolatela e legatela con uno spago.
Infornate a 190° per circa 30 minuti bagnando ogni tanto la superficie della carne con l’aceto di vino rosso aiutandovi con un rametto di alloro. Una volta cotta, lasciate riposare la carne per una quarantina di minuti.
Affettate e assaporate!
* Martino de’ Rossi, detto Maestro Martino (1430-fine XV secolo) fu il più importante cuoco europeo del XV secolo. Il suo Liber de arte coquinaria è considerato un caposaldo della letteratura gastronomica italiana ed è una importante testimonianza del passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale. Il Liber è costituito da 65 fogli non numerati e scritti in lingua volgare.